Nicola zanca su nucleare

“Il Polesine non può diventare un test per una tecnologia superata”

“In questi giorni è ripartito il dibattito sul nucleare, ovvero sull’opportunità di realizzare centrali, anche in Polesine. Una ipotesi che non mi trova d’accordo per diversi motivi, che spiego.

  1. Primo, l’Italia ha già detto “no” al nucleare due volte, e in modo netto. Nel referendum del 1987, dopo il disastro di Chernobyl, gli italiani votarono per l’uscita dal nucleare civile. Nel 2011, con un’affluenza superiore al quorum, il 94% dei votanti si espresse per abrogare le norme che prevedevano la costruzione di nuove centrali. Quella voce resta attuale: secondo un sondaggio di Legambiente del 2024, l’81% degli italiani è contrario al ritorno del nucleare, ritenendolo troppo costoso, pericoloso e inutile rispetto alle rinnovabili.

  2. Secondo il rapporto Lazard 2024, ente autorevole internazionale, produrre un megawattora (MWh) con il fotovoltaico costa tra 26 e 55 euro, con l’eolico onshore circa 50 euro, con il gas a ciclo combinato intorno ai 70, mentre il nucleare supera i 100 euro per MWh, senza considerare smantellamento e scorie. Con una tendenza evidente: per l’energia nucleare il costo è in crescita dal 2009, mentre nello stesso arco temporale l’eolico onshore è diminuito del 55% e quello del fotovoltaico è crollato fino all’84%. Inoltre, non vi è nessuna centrale nucleare al mondo che non abbia fruito di aiuti di Stato a fondo perduto.

  3. Terzo, i costi aggiuntivi legati alla gestione dei rifiuti radioattivi, alla sicurezza e al decommissioning rendono il nucleare una scelta economicamente ulteriormente svantaggiosa rispetto alle fonti rinnovabili.

  4. Quarto: il fisico e divulgatore scientifico Nicola Armaroli, dirigente del CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche), ha ricordato più volte che il nucleare costa troppo e arriva troppo tardi. Per un Paese come l’Italia, che deve accelerare la transizione energetica, i tempi di realizzazione di una centrale nucleare (10-15 anni) sono incompatibili con l’urgenza climatica. Sarebbero necessari almeno un centinaio di reattori di nuova generazione, che non esistono in commercio. I progetti di reattori modulari (SMR) restano prototipi sperimentali, con costi vaghi e nessuna applicazione su vasta scala.

  5. Quinto: In Europa, la direzione è chiara e va in senso opposto a quella di chi sogna nuove centrali. Germania e Spagna hanno deciso di chiudere definitamente i loro impianti nucleari, il Belgio ha avviato la dismissione dell’unità Doel 1, la Svezia sta chiudendo i reattori più vecchi.
    Francia e Gran Bretagna, che sono le uniche potenze militari nucleari in Europa, hanno deciso di proseguire. Attualmente nei Paesi Occidentali ci sono tre reattori nucleari in fase di cantiere in Francia e nel Regno Unito, ma tutti hanno sforato i tempi di realizzazione di oltre 10 anni e il costo è lievitato fino a 4 volte il budget stimato iniziale (dati da “Energia per l’astronave terra – Armaroli Balzani”).  Dal 2011 a oggi, trentasette reattori europei sono stati definitivamente spenti. Anche Legambiente ricorda che la quota del nucleare nella produzione mondiale di elettricità è crollata dal 17% del 1996 al 9% attuale, mentre le rinnovabili sono in costante crescita e sempre più competitive.

  6. Sesto: il fabbisogno in prospettiva. Secondo il colosso nucleare francese EDF nel 2050 l’eolico e fotovoltaico forniranno il 68% del fabbisogno elettrico nell’Unione Europea, mentre il nucleare passerà dal 25 % attuale al 16 %.

  7. Settimo: si parla di indipendenza da combustibili fossili e come soluzione si dà il nucleare. Purtroppo però anche le riserve di uranio sono una risorsa finita e non abbondante, e non c’è nessuna nazione dell’Unione Europea che possegga riserve significative di uranio. Il maggior produttore di minerali di uranio al mondo è infatti il Kazakistan.

  8. Ottavo: nessuno dice dove mettere le scorie nucleari, pericolose per decine di migliaia di anni, in un territorio come quello nazionale dove il 94 % dei comuni è a rischio idrogeologico medio-alto. Ma nessuno dei politici che propongono di investire in Polesine sul nucleare è pronto a candidare il suo comune per installare una centrale nucleare o un deposito di scorie radioattive.

  9. Nono: gli incidenti gravi dovuti ad errori umani o per eventi naturali estremi sono altamente improbabili, ma purtroppo sono accaduti, coinvolgendo direttamente o indirettamente milioni di persone. L’invasione russa dell’Ucraina ha dimostrato come un impianto nucleare può trovarsi improvvisamente in uno scenario bellico con rischi elevatissimi di incidenti.

  10. Decimo: il Polesine e il Delta non sono un territorio adeguato per sperimentare modelli energetici incerti. Pensare di collocare un impianto nucleare nel Delta del Po, un’area fragile dal punto di vista idrogeologico e ambientale, è pericoloso e irrazionale. Il Polesine ha già pagato gli effetti della subsidenza, causate dalle estrazioni metanifere del dopoguerra, con l’abbassamento del livello del terreno che favorisce l’ingresso del mare e mette a rischio abitazioni, infrastrutture e terreni agricoli. Il Governo inoltre ha smesso di finanziare la legge sulla subsidenza, lasciando i Comuni del Delta senza risorse e proprio mentre mancano fondi per proteggere il suolo, si ipotizza di investire miliardi per costruire un impianto nucleare.

Il Polesine ha già pagato abbastanza: non può essere nuovamente sacrificato sull’altare di scelte energetiche sbagliate. Riproporre oggi il nucleare nel Polesine significa ignorare la scienza, l’esperienza internazionale e la volontà popolare. Significa distogliere risorse dalle vere priorità: il fotovoltaico diffuso, le comunità energetiche, l’eolico, i sistemi di accumulo, la gestione intelligente delle reti e l’efficienza energetica. È lì che si costruisce l’autonomia, la sicurezza e la sostenibilità del nostro futuro. Dire “no” al nucleare nel Delta del Po non è una posizione ideologica: è una scelta di responsabilità verso la scienza, l’ambiente e i cittadini. Il Polesine non può diventare un test per una tecnologia superata. Dire “no” oggi significa dire “sì” a un futuro più pulito, sicuro e giusto per la nostra terra e per le prossime generazioni.

Nicola Zanca, candidato del Partito Democratico al Consiglio regionale del Veneto per la circoscrizione di Rovigo.

Nicola Zanca è  un chimico con un dottorato di ricerca al CNR di Bologna e un master in Scienze, Tecnologie e Management.